Una biografia nascosta

Testo a cura di Luigi Erba.

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Può accadere che un lampadario, mentre lo stai appendendo, ti cada in testa. Se poi l’oggetto è una di quelle bocce di vetro che fa parte del nostro “immaginario luminoso”, come fosse un alfabeto, il gioco è fatto. La tua testa può essere pericolosamente conglobata nella forma e divenire un oggetto diverso da sé ma che è in te. Fa parte di te. Accadde così per Fabrizio Martinelli. 1992. Dieci anni fa. Eseguì il primo dei suoi due autoritratti. All’azione del caso aggiunse i suoi materiali, assemblò, fermò l’evento, quindi concluse con un imballaggio di una lavatrice di pressato in legno e resina.1 Non fu un caso. Scorrendo le sue opere, soprattutto sculture, sentendo le sue parole come in un racconto, emerge un dato: Martinelli ha una biografia nascosta, sotterranea, fatta di eventi, casi, situazioni della vita che determina a volte il suo lavoro. Non è una trama costante, ma esiste. Ovviamente questo vale anche per la vita sociale, in modo specifico per la scuola che, a volte ironicamente, lo coinvolge come avviene con un alto tasso di originalità per l’ opera Pungente (1991). Qui riutilizza il resto di una cancellata di ferro che monta su vetroresina evidenziando uno spuntone verso l’alto con un sottotitolo Seduta per un preside, dedicato ovviamente ad un suo dirigente, una figura per forza di cose “rigida”. Ecco l’aspetto ironico, un’altra componente dell’artista che si interseca con le idee, produce idee, ma soprattutto prelude al ciclo più complesso di un profondo rapporto di arte e vita che vedremo in Meccanismi. Altre volte è la trama coinvolgente della contemporaneità a caratterizzarne il tessuto, vario, diverso, caratterizzato dall’ impegno sociale che egli porta con i suoi studenti fuori dalla scuola. Ma il suo essere nel tempo è soprattutto testimoniato dai materiali che utilizza, ready made, sostanzialmente entità materiche che non hanno nulla a che fare con l’ apparente informale, sono trame che ritornano, mostrano la superficie, l’aspetto, la pelle, quindi la loro profondità. E’ così anche con l’installazione Tana a Varzi (Pavia) nel 1992. Simbolicamente l’artista scruta attraverso la lacerazione di una superficie, un punto di vista circoscritto dal limite di un muro, come in uno speculum, un cruscotto riutilizzato di auto a segnare un altro momento in cui questi materiali-oggetto costituivano la poetica dei suoi manufatti. La necessità di un frammento, un diaframma che circoscriveva ma permetteva la visione, esprimeva la condizione del contenimento che esistenzialmente segnava quel particolare momento dalla sua condizione di ricercare una casa, una home, per abitare prima del matrimonio. Il significato metaforicamente più globale è con l’installazione Giardino della scultura per MIART, allora al Parco delle Esposizioni di Novegro (1995). Meccanismi, polimaterici che rappresentano quasi dei fiori, sono i cardini quotidiani e universali della vita, simboleggiano gli affetti nelle loro connessioni con le persone e cose più care. Oltre a costituire l’inizio dei lavori seriali, il meccanismo segna appunto il valore di relazionalità insita in questa dimensione, dove l’interiore e l’oggettivo sono in perenne dialettica. Ecco quindi che la lettura empiricamente materica di Martinelli, composta di superfici, di oggetti riciclati e ricreati si sposta in un punto di vista meno evidente, più narrativo. Essi sono come delle sonde che vanno nel profondo, in alcune premesse, aneddoti che costituiscono non tanto l’ambiguità quanto il nascosto dell’arte. Come diceva Morellet…siamo come in una locanda spagnola, ognuno mangia ciò che porta nel suo sacco… Ma per ripercorrere l’itinerario di Martinelli, un poliedro multisensoriale a più spigoli, non dobbiamo dimenticarci dell’ involucro sostanziale. La sua storia è quella del significato, dell’essenza della materia prima e dei materiali oggetto poi; questi costituiscono dei momenti, degli apici. E’ così che ora raccontiamo la sua vicenda come un’ assidua, mutevole ricerca, mai scontata, inquieta.

Una mimesi della materia

Una mimesi della materia In questa che non vuol essere una storia è comunque importante citare nel 1982 la prima volta che Martinelli, come studente di Brera, espose al Centro Culturale di Sesto Sesto San Giovanni, in occasione di Rondòottanta. Erano delle serigrafie, genere a lui caro e su cui lavorava dall’anno precedente. E’ emblematico notare che l’artista, attraverso un materiale assolutamente omogeneo, tenta delle trasparenze diversificate lavorando direttamente sul telaio con polveri e pigmenti tali da generare un monotipo. Ancora poi lavora più in generale attorno al ciclo Trasparenze dipingendo su tela il colore rosso o il verde come se dovesse riempire dei vuoti. E’ evidente che esiste già una ricerca totale della materia, in questo momento iniziale attraverso una mimesi della stessa. E’ quasi un’ attesa, uno spazio da colmare, un vuoto, mai un abisso. Doveva essere l’utilizzo del filtrix, materiale che serviva per assorbire la polvere dei termosifoni, che, come una sfoglia veniva appoggiata, incollata sulla tela a costituire un momento importante, essenziale in nuova dimensione, specchio di situazioni esistenziali. Il dado era tratto per scrivere attraverso quegli spessori, ma paradossalmente conservare quelle trasparenze che dovevano portarlo a definire, sino ai nostri giorni, il reale rapporto con uno degli altri elementi portanti, la luce. La perenne tensione verso di essa veniva paradossalmente raggiunta attraverso dei materiali, come avviene nella scultura: un aggiungere, non un togliere. Due anni dopo infatti (1986) avveniva l’incontro con il “materiale” che identificherà da sempre l’artista, il vetroresina. Ne costituirà quel tessuto cangiante, fatto di trasparenza, leggerezza e apparente fragilità del vedere. In fondo una res che potrebbe essere il sangue della sua poetica. Le occasioni sono infatti molteplici, anche per la predisposizione e la scelta ideale della funzione dell’opera d’arte attraverso installazioni spesso in spazi pubblici. Così è per Natura 87 nel vallo delle mura presso la Biblioteca Civica di Lecco, luogo in cui esisteva in quegli anni una continuità espositiva anche nel contesto di Pittura Uno, una rassegna soprattutto di giovani autori che si svolgeva periodicamente.

Naturale artificiale

Siamo in una diversa mimesi, ma anche in una problematica del tempo. Il rapporto naturale artificiale, già approfondito dall’arte concettuale, ma soprattutto in una dimensione percettiva che supera il concetto di Informale anche come estensione metaforica della natura. Qui, con i nuovi materiali, che rappresentano ovviamente la consapevolezza di una natura diversa più che una “ non natura”, si entra in una nuova sfera percettiva, plurisensoriale. E’ anche lo spazio intorno che viene irraggiato come per la scultura di Medardo Rosso, ma qui la concettualizzazione è diversa perché ora si tratta di vedere “con” e “attraverso”, non con la consapevolezza di una impossibile simbiosi. Natura 87 è una finestra di finzione e compenetrazione velata nell’ambiente, in questo caso il vallo delle mura presso la Biblioteca Civica di Lecco, dove il vetroresina in parte colorato porta ad una variazione continua della percezione, reso consapevolmente ancor più artificiale da una lampada nelle ore serali. Siamo già in quelle trasparenze, occhi diversi ma consapevoli, non una lente kantiana. La luce è quella di un diverso tempo con una sua autonomia e fisicità che sarà approfondita, circoscritta dal 1990, con la definizione di nuove forme fortemente simboliche. E’ il cerchio delle serigrafie sulla luna, dello specchio ovale Senso alla Biennale di Cremona, di Re ottenuto attraverso quei materiali di recupero che Martinelli aveva già iniziato ad usare a largo spettro per una presenza alla Permanente di Milano. Porta, ad esempio, era un quadro appeso nello spazio di carattere anfibio e transitorio con la scultura, poi la contaminazione ne sarà l’essenza (1989/90). A questo punto bisogna tirare le somme. Come ho già scritto, … si tratta di un’arte totalmente disinibita, che ha digerito la lezione delle avanguardie e lo stesso uso dei materiali extra pittorici dal dopoguerra. Scultore informale, di un nuovo realismo oggettuale? Direi piuttosto quello di una costante rilettura critica creativa del passato, delle avanguardie che ha caratterizzato la generazione degli anni ottanta in cui gioco, impegno, istanza sociale è un tutt’uno e che non si colloca più nella tradizionale e schematica evidenza dei generi1. Tematiche queste che affronta in modo radicale Marco Senaldi in occasione della mostra L’invasione degli ultracorpi al Belltable Arts Centre (Limerik- Irlanda) citando da un catalogo di una mostra curata da Jeffrey Deitch (Artificial Nature)… in which natural and artificial, organic, inorganic and man-made, and even matter and mind, produce a new nature and a new reality. In modo particolare per Martinelli poi scrive… mi sembra che la poetica di Fabrizio Martinelli sia indirizzata al recupero di questi scarti.Nelle sue opere gli impasti di materie marginali diventano poetici e acquisiscono una nuova dimensione grazie alla trasparenza.La luce che filtra attraverso questi acquari plastificati è puro senso incorporeo ,appena trattenuto da ombre colorate.2 In particolare poi, ancora sulla materia-luce, in una successiva mostra Luigi Cavadini, nella presentazione per la mostra al Circolo Culturale Bertold Brecht di Milano (Opere 1988-1993), ben sintetizza la complessità di Martinelli parlando di convivenza tra arte del passato con quella dei decenni più recenti, di un apporto coloristico proprio per l’uso dei materiali nella modulazione della luce…Le caratteristiche della vetroresina, inoltre, consentono alle sollecitazioni luminose esiti fra i più disparati: le fibre che la compongono attivano vibrazioni plastico luminose di particolare intensità e inoltre, proprio per la natura vetrosa, reagiscono con effetti brillanti alla reazione colore-luce. … Sempre Cavadini apre e mette sul tappeto quella che sarà la costante dell’artista nei decenni successivi: l’estensione spaziale e il rapporto costante con l’ambiente attraverso installazioni. A ciò dobbiamo aggiungere ora la sua perenne tendenza all’ironia e alla provocazione come precisa Carla Chiara Frigo per la mostra Plurale.3 Ironia e performance, quindi aggiungiamo, come è per l’installazione Cappio al collo (2005), ma soprattutto per il ciclo Sedie d’artista con l’opera Arte nel sedere , dove schiacciando con un muletto un bidone per oli industriali, costuisce una simil sedia poltrona, accentuandone la rotondità e l’instabilità della sua funzione fantozziana. In queste due opere, come per il costante riferimento alla luna o alla vecchia stadera in ferro e vetroresina (Il mio credo 1995), emerge un altro filone ombelicale, il suo riferimento al tondo, il suo utilizzo verso se stesso e la natura.

Dal lago al Tibet

Tale dimensione, intercalante comunque con altre forme (es. Intermittenze sul lago, Lierna 2010), diventa motivo esistenziale, condizione e riflessione su se stesso, l’uomo, la sua storia. Profonda venatura questa, affiorante. Le ritroviamo in tutto il percorso, ultimamente nella mostra alla Galleria “La Nassa” di Lecco, con testo in catalogo di Annamaria Isacco che apre ad un altro profondo rapporto di Martinelli con “il suo lago”.1 E’ così che dal catalogo l’opera Specchio di lago 2007 (vetroresina colorata e ferro) segna la complessità, la sostanza progettuale e poetica. Il cerchio, il tondo, racchiudono il vetroresina colorato centralmente con una campitura verde, un orizzonte leggermente obliquo, trasparente, di una leggerezza materica. Tutto in bilico tra colore non colore, fragilità e persistenza. Una visione decisamente di lago che accompagna Martinelli tra memoria, riflessione, sogno e ossessione. Ancora Lacustre 2011 (vetroresina colorata e ferro), esposta alla annuale mostra di Lierna, riflette…il profondo ed inquieto rapporto che Fabrizio Martinelli ha con il luogo…dimensioni sempre diverse che richiamano alla memoria frammenti di vita più o meno recenti.2 Anche qui si inserisce in una dimensione iconica che ha una sua storia nella raffigurazione lacustre legata al territorio; egli la attua simbolicamente attraverso una pozione di materia nota come il ferro e ignota come il vetroresina. Al di là della retorica a cui siamo abituati anche perché l’autore fisicamente e gnoseologicamente opera nella poetica del frammento, non nella rappresentazione pittorica più o meno simbolica. Quella di Martinelli è una generazione diversa che non ha esempi almeno in un contesto territoriale. A distanza potremmo trovare dei lontani germi matericamente visivi nelle acque di Morlotti, nella poetica dei materiali di Gianni Secomandi, nelle plastiche di Antonio Scaccabarozzi , a livello europeo nello svizzero Niklaus Stoecklin, ma certamente in un artista che egli ha visto in quanto ha operato alcuni anni nel lecchese: Paolo Icaro.3 Vicino…ma anche lontano per affrontare una delle altre istanze della sua arte che sgorgano un po’, come per conseguenza. Nel corso dell’ultima Biennale Veneziana, come evento collaterale prima a Venezia poi a Torino viene allestito un Padiglione Tibet, di un paese che non c’è. Martinelli è tra gli artisti contemporanei invitati a lavorare direttamente sulle Khata, le tipiche sciarpe che i monaci offrono in segno di saluto e amicizia. In questo connubio di arte sacra e contemporanea egli produce Tracce di pace: un’ immersione nelle problematiche globali a cui l’artista non è mai esente e che si è sempre espresso non solo nel quotidiano insegnamento, ma anche nel coordinare e portar fuori lavori con i suoi alunni che hanno quasi sempre un’istanza sociale.4 A conclusione di queste note, più che per ogni altro autore, mi sembra importante rilevare che quanto scritto sia uno dei tanti itinerari, una delle tante riflessioni che avrei potuto esporre, approfondire. Così sono i percorsi di Fabrizio Martinelli. Mi ricordano più che mai il racconto di Borges Il giardino dei sentieri che si biforcano in cui la conclusione è una delle possibili, come il percorso. Avrebbe potuto essere diverso, poi altro ancora. Oggi è andata così.

Testo di Luigi Erba - Lecco 14 Febbraio 2012. / Foto di copertina: G.C.Lanzara.

 

 

Sono infatti due gli autoritratti non figurativo eseguiti dall’autore. Il secondo e l’ultimo è Autoritratto 2010. Pittura uno, una rassegna di giovani autogestita si tiene nelle sale espositive della Biblioteca Civica di Lecco dal 1984 al 1990. Martinelli è sempre presente. A testimonianza del suo impegno sociale, la sua attenzione agli eventi ricordiamo l’opera Difesa, nel contesto della tematica Segni di guerra. Luigi Erba, Fabrizio Martinelli nella materia contemporanea, “Il Punto Stampa”, febbraio 2006. Marco Senaldi, The Invasion of the Ultrabodies, Belltable Arts Centre (cat) , Limerick, 1991. Luigi Cavadini, Fabrizio Martinelli, Circolo Culturale Bertold Brecht, Milano, 1993. In particolare per la mostra Cardella Lucato Martinelli, Galleria Libreria Due Ruote, Vicenza, 1996, Carla Chiara Frigo scrive: FM sembra compiere atti irriverenti, volti a far reagire lo spettatore con senso di repulsione per i ‘materiali’ usati, come usati sono dall’artista che li manipola, li distorce, li fende, li ammassa e incastra. I materiali sono quelli più presenti nella produzione di oggetti domestici come la plastica e la vetroresina, mistificati o abbandonati, occultati dopo di loro… Annamaria Isacco, Fabrizio Martinelli Intorno al tondo, Galleria ‘La Nassa’, Lecco Pescarenico, 2011. Annamaria Isacco, Lacustre 6 nel castello, Lierna (Lc), 2011. Paolo Icaro, tra i più significativi scultori contemporanei, dopo il suo ritorno dall’America, ebbe studio negli anni ottanta prima a Malgrate, poi a Maggianico. Sul territorio ricordiamo una mostra personale alla Galleria Giuli di Lecco nel 1983. Il comune di Malgrate nell’aula consigliare conserva una delle sue più significative opere negli spazi pubblici del territorio, rappresentante attraverso l’uso di gesso e vetro, la montagna del Resegone. Martinelli è anche presente nelle manifestazioni collaterali alla 52° Biennale Veneziana con Camera 312 promemoria per Pierre (Omaggio al critico Pierre Restany). Sempre ispirata al critico francese è la mostra curata da Ruggero Maggi geneAction- un promemoria per le generazioni (Galleria di Arti Visive dell’Università del Melo- Gallarate 2010), in cui gli autori invitati, tra cui Martinelli, lavorano producendo un’opera con il Post-it, foglietto giallo e ingegnoso che Restany utilizzava in grande quantità.

Martinelli Fabrizio / Tutti i diritti riservati 2019 .

Foto copertina di G.C.Lanzara - 2018.